Perché allo Stato conviene legalizzare
Le politiche
proibizioniste sugli stupefacenti non sono riuscite a ridurne il consumo, che
negli ultimi anni è risultato in crescita per tutte le sostanze ed in tutti i
Paesi. Nonostante le attività di contrasto, i proventi del mercato degli
stupefacenti per le organizzazioni criminali mondiali rimangono molto elevati. La
regolamentazione di tale mercato, in termini di costi e benefici per la
collettività, determinerebbe benefici netti consistenti, derivanti soprattutto
dall'emersione di transazioni, in questo momento, illegali, che invece
potrebbero essere contabilizzate nel Pil ufficiale, con effetti rilevanti in
termini di bilancio pubblico e di performance degli indicatori di stabilità
finanziaria.
1. Introduzione
La Global Commission on Drug Policy dell’ONU
ha ammesso che “La guerra globale alla droga è fallita, con conseguenze
devastanti per gli individui e le società di tutto il mondo”, invitando i
governi a sperimentare “forme di regolarizzazione che minino il potere delle
organizzazioni criminali e salvaguardino la salute e la sicurezza dei
cittadini”[1].
I dati sul consumo di stupefacenti nel mondo
evidenziano, infatti, come questo sia in crescita per tutte le sostanze ed in
tutti i Paesi. A livello globale, la UNODC (2012) stima che nel 2010 tra 153
milioni e 300 milioni di persone di 15-64 anni (3,4-6,6 per cento della
popolazione mondiale in quella fascia di età), abbiano utilizzato una sostanza
illecita, almeno una volta nel corso dell'anno precedente. La droga più diffusa
è la cannabis, in crescita negli ultimi anni, mentre restano stabili le altre
sostanze. Sempre l’UNODC stima che, nonostante la continua attività di contrasto,
considerando solo il traffico di droga, nel 2009 i proventi a livello globale
per le organizzazioni criminali siano stati circa 870 miliardi di dollari, pari
a 1,5% del prodotto interno lordo mondiale. I più alti guadagni per le
organizzazioni criminali a livello mondiale provengono dal traffico di droga e
ammontano a circa il 50% di tutti i proventi dei crimini transnazionali, ovvero
dallo 0,6% allo 0,9% del prodotto interno lordo mondiale.
Questo bilancio negativo della proibizione,
insieme alla sempre maggiore necessità dei governi degli Stati più sviluppati
ad aumentare il proprio gettito fiscale senza ricorrere ad ulteriori
imposizioni su redditi, imprese e immobili, hanno rilanciato il dibattito su
un'ipotesi di regolamentazione del mercato degli stupefacenti. Soprattutto
negli USA, dove in uno Stato, la
California , si è votato nello scorso novembre un referendum
per abolire il regime di proibizione delle droghe leggere, permettendone
coltivazione e vendita.
Il dibattito si è concentrato sul calcolo dei
benefici fiscali per uno Stato che intendesse passare da un regime di
proibizione ad uno di depenalizzazione o legalizzazione delle droghe,
soprattutto quelle leggere, e sugli effetti che tale cambiamento avrebbe sui
prezzi e sui consumi delle sostanze stupefacenti.
Ma
il beneficio fiscale è solo parte dell'utilità complessiva che uno Stato può
trarre dal passaggio dalla proibizione alla legalizzazione. La regolamentazione
del mercato degli stupefacenti, infatti, si lega strettamente alla contabilità
ufficiale della finanza pubblica, in quanto, fino a questo momento, le regole
concordate a livello internazionale nel Sec95 per la contabilità nazionale non
includono nel calcolo del Pil, e di conseguenza di tutti gli indicatori di
stabilità dei conti pubblici di uno stato, le attività illegali, anche se
queste rappresentano ormai una parte rilevante dell'economia degli stati
sviluppati. Infatti, mentre il sommerso economico, come è noto, viene stimato e
contabilizzato nel calcolo del Pil nazionale, l'economica illegale, pur
rappresentando una percentuale consistente di transazioni, non viene inclusa
nei conti nazionali. Alla luce di ciò, questo studio, concentrandosi sul caso
italiano, tenta di sistematizzare costi e benefici della legalizzazione del
mercati degli stupefacenti in Italia introducendo il valore aggiunto
rappresentato da tale mercato, finora illegale, nella contabilità ufficiale del
Pil nazionale.
Ardizzi
et al. (2012) stimano che l'economia
"non osservata"[2]
in Italia abbia rappresentato nel 2008 il 31,1% del Pil, crescendo di 6,4 punti
percentuali in soli tre anni (dal 2006 al 2008). In particolare, tale studio
disaggrega l’economia non osservata in due componenti: 1) il sommerso economico
(le transazioni legali ma nascoste al fisco); 2)l'economia illegale (le
attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o
possesso sono proibite dalla legge, e le attività che, pur essendo legali, sono
svolte da operatori non autorizzati). Il primo in Italia viene stimato dagli autori
nel periodo 2005- 2008 in
una media del 16,5% del Pil, valore confermato anche da un'altra ricerca
dell'Istat[3]
(2011) che valuta i flussi di tali transazioni in Italia oscillanti tra un
minimo di 255 miliardi di euro e un massimo di 275 miliardi nel 2008, pari
rispettivamente al 16,3% e al 17,5% del prodotto interno lordo. L'economia
illegale, invece, stimata secondo il
metodo del Currency Demand Approach
(Cda), rappresenterebbe in media tra il 2005 ed il 2008 circa l'11% del Pil
italiano, in crescita di 3 punti percentuali tra il 2006 ed il 2008. Valore
anche questo confermato dai dati Eurispes (Danna 2011)[4],
che per il nello stesso periodo ha valutato in oltre 175 miliardi di euro il
volume di affari da attività illegali, corrispondente all’11,3% del PIL.
L’originalità
di questa ricerca riguarda soprattutto due aspetti della questione. Il primo riguarda
il beneficio in termini di Pil determinato dalla legalizzazione del mercato degli
stupefacenti, poiché sposterebbe una parte molto rilevante di produzione e
transazioni, per il momento non contabilizzati perché illegali, dai bilanci
delle organizzazioni criminali a quelli delle finanze pubbliche, consentendo un
notevole miglioramento della performance degli indicatori debito/pil e
deficit/pil. A differenza di quanto affermato in letteratura - ove si sostiene
che il vantaggio della legalizzazione sia circoscritto al maggior gettito
ricavato dalla produzione e dalla vendita delle sostanze stupefacenti, ed alle
minori spese per il sistema di repressione del traffico - noi mettiamo in
evidenza la creazione di nuovo valore aggiunto dalla regolamentazione del
mercato degli stupefacenti. Il secondo aspetto riguarda quale mercato
legalizzare. Quasi tutti gli autori si concentrano sulla legalizzazione della
marijuana, o in generale delle droghe leggere. Ma gli effetti della
regolamentazione sarebbero ancora maggiori se venisse regolamentato l'intero
mercato delle droghe, sia leggere che pesanti.
Il
lavoro è così strutturato. Dopo aver esposto una breve rassegna della
letteratura sul tema (par. 2), si presenta una nostra variante al modello di
Kilmer et al. (2010) volta a misurare
L'impatto netto della regolamentazione del mercato degli stupefacenti (par. 3).
Nell’ultimo paragrafo (par. 4), infine, saranno esposte alcune riflessioni
conclusive.
2. La letteratura più recente
Tra
i contributi al dibattito più recenti su costi e benefici della legalizzazione
delle droghe (Becker et al. 2006, Clements and Zhao 2009, Babor et al. 2010, Pacula
2010, Pudney 2010, Reuter 2010, Werb et. al. 2010, Kilmer et. Al. 2010, Miron and
Waldock 2010, MacCoun 2011, Williams et. al. 2011, Kochenderfer et al. 2011, Caulkins
et al. 2012, Van Ours 2012), la maggior parte (Clements and Zhao 2009, Caulkins
2010, Pacula 2010, Caulkins et al. 2012) si concentrano sugli effetti derivanti
dalla legalizzazione delle droghe, soprattutto della marijuana, sul prezzo della sostanza (decisamente più
ridotto nel mercato legale per la diminuzione del rischio per produttori e
consumatori, la maggiore automazione e le economie di scala introducibili nel
processo di produzione legale, Caulkins 2010, Miron and Waldock, 2010) e
sull'elasticità della domanda di droghe rispetto al prezzo che ci consente di
valutare la risposta dei consumatori alla riduzione di prezzo (secondo Pacula,
2010, gli utenti regolari di droghe leggere dovrebbero aumentare del 2,5% per
ogni riduzione del 10%; Clements e Zhao, 2009,
hanno esaminato i dati provenienti dall' Australia stimando l'elasticità
della domanda rispetto al prezzo a - 0,40; per Caulkins, 2010, è difficile
valutare quanto possa aumentare il consumo; secondo Boermans, 2010, il caso
olandese dimostra come la legalizzazione della marijuana non produce effetti
sostanziali sul consumo; per Van Ours and Williams, 2007, un prezzo inferiore
abbassa l'età di iniziazione, ma non ha alcun effetto sulla durata del consumo
di cannabis) e quindi anche le possibili ricadute sui costi sanitari legate al
possibile aumento dei consumi. Becker et al. 2006 presentano un modello che assume
piena concorrenza e quindi zero profitti attesi e sostengono che la proibizione
non abbia avuto come conseguenza quella della riduzione dei consumi, ma
esclusivamente l'effetto di aumentare i costi di produzione e di consumo degli
stupefacenti, e le spese per la repressione del fenomeno: in sostanza una riduzione
del benessere collettivo. E concludono affermando che, in alcune condizioni, la
proibizione è meno efficace di un regime di politica in cui le droghe vengono
legalizzate e tassate. Alcuni autori si soffermano sugli effetti della legalizzazione
in alcuni paesi, principalmente l’Olanda, (MacCoun, 2011, sostiene che il
sistema olandese dei coffee-shops potrebbe essere stato responsabile della
separazione dei mercati delle droghe leggere e pesanti, e piuttosto che
aumentare il passaggio dal consumo di droghe leggere a quelle pesanti può avere
ridotto questo passaggio; secondo Reuter, 2010, la commercializzazione nei
Paesi Bassi può aver portato ad un aumento degli utenti, ma l'accesso non ha
portato ad un aumento del consumo per la popolazione olandese. Korf, 2002,
indica che l'uso di cannabis nei Paesi Bassi mostra tendenze che sono molto
simili a quelle di altri paesi europei che non hanno depenalizzato la cannabis)
e la scelta di quali droghe mantenere illegali e quali legalizzare (Conant e
Maloney, 2010).
Altri
autori (Kochenderfer et al. 2011,
Kilmer et. al. 2010, Miron and
Waldock, 2010), invece, approfondiscono soprattutto l'aspetto economico del
problema, valutando tutte le implicazioni fiscali derivanti dalla legalizzazione
delle droghe leggere. Kochenderfer et al.
2011 sostengono che la legalizzazione di produzione e vendita della marijuana
consentirebbe una modesta riduzione dei costi per la repressione ed un elevato
gettito fiscale che, tuttavia, difficilmente potrebbe essere cosi importante da
convincere l'opinione pubblica a cambiare idea su un tabù che dura da secoli. Kilmer
et al. (2010) costruiscono un
diagramma per valutare e sistematizzare gli effetti della legalizzazione della
marijuana negli USA e l'impatto netto per il bilancio statale. Ai benefici
della legalizzazione derivanti dai risparmi per lo Stato, vengono aggiunti i
costi per la nuova regolamentazione. Viene stimato poi per il livello di
tassazione migliore e i costi per prevenire la frode fiscale, oltre le entrate
fiscali derivanti dalla vendita legale di marijuana. Viene anche stimato come potrebbe
cambiare il consumo rispetto alla variazione del prezzo della sostanza
stupefacente nel mercato legale. Gli autori concludono il lavoro sostenendo che
con la legalizzazione della marijuana il prezzo di vendita al dettaglio,
imposte escluse, si ridurrà, probabilmente di oltre l'80 per cento. Il prezzo
finale per i consumatori dipenderà in larga misura dalle tasse. Il consumo
dovrebbe aumentare, ma non è chiaro quanto, perché non si conosce né la forma
della curva di domanda, né il livello di evasione fiscale (che riduce i ricavi
per lo Stato e per i produttori ed i prezzi per i consumatori). L'impatto netto
sul bilancio statale è incerto, perché le variabili sono molteplici. Miron and
Waldock sostengono, invece, che la legalizzazione della droga negli USA
produrrebbe una riduzione di spesa pubblica, derivante dalla legalizzazione del
mercato delle droghe (forze dell'ordine, magistratura e sistema carcerario), di
circa 41,3 miliardi di dollari l'anno ed, inoltre, genererebbe un gettito
fiscale di circa 46,7 miliardi di dollari l'anno grazie alla tassazione di
produzione e vendita degli stupefacenti applicando le aliquote utilizzate per il
tabacco.
3. Un modello logico per valutare costi e benefici della legalizzazione
del mercato degli stupefacenti.
Anche se non è
possibile quantificare analiticamente l'impatto netto della legalizzazione del
mercato degli stupefacenti (essendo un mercato illegale sono troppo limitati i
dati a disposizione), è possibile invece costruire un modello logico per
valutare l'effetto complessivo della regolamentazione applicata,
sistematizzando costi e benefici e comparandone i diversi pesi.
Il modello, ricalcando
il lavoro di Kilmer et al. (2010)
sulla legalizzazione della marijuana, può essere rappresentato con un diagramma
(Fig.1) nel quale sistematizzare costi e benefici economici dell'abolizione
delle pene e delle sanzioni sulla produzione, vendita e possesso degli
stupefacenti.
L'impatto netto della
regolamentazione del mercato degli stupefacenti si può determinare confrontando
benefici e costi
IN = B - C
dove IN, l'impatto
netto della legalizzazione del mercato degli stupefacenti, risulta dalla
differenza tra i benefici (B) ed i costi (C). Cerchiamo di analizzare tali
variabili in maniera dettagliata. Partiamo dai costi.
I costi complessivi
della legalizzazione del mercato degli stupefacenti possono essere divisi in
due tipologie: costi diretti e costi indiretti. I primi sono legati alla
regolamentazione del nuovo mercato legale (struttura dell'agenzia per la
gestione di produzione e vendita, controllo rispetto legislazione,
sensibilizzazione ed informazione dei consumatori – Kilmer et al., 2010), e quantitativamente possono essere assimilati ai
costi sostenuti per la regolamentazione del consumo di tabacco e sigarette, che
hanno una regolamentazione molto simile a quella in ipotesi. I costi indiretti
dipendono invece dall'aumento dei consumi di sostanze stupefacenti in seguito
alla legalizzazione. Un aumento dei consumi potrebbe portare ad un aumento dei
costi sanitari. Come riportato in precedenza, la letteratura sull'argomento non
ha una posizione prevalente su come possa variare la domanda di stupefacenti in
seguito alla legalizzazione del mercato. Secondo Pacula (2010), gli utenti
regolari di droghe leggere dovrebbero aumentare del 2,5% per ogni riduzione del
10%; per Caulkins (2010) è difficile valutare quanto possa aumentare il
consumo; secondo Boermans (2012) il caso olandese dimostra come la
legalizzazione della marijuana non produca effetti sostanziali sul consumo; per
Van Ours and Williams (2007) un prezzo inferiore abbassa l'età di iniziazione,
ma non ha alcun effetto sulla durata del consumo di cannabis. Pertanto una
quantificazione dei costi sanitari legati ad un possibile aumento della domanda
di stupefacenti in seguito alla legalizzazione del mercato non è possibile.
I
benefici della regolamentazione del mercato degli stupefacenti sono
molteplici e riguardano anche aspetti non quantificabili economicamente. Li
possiamo dividere in benefici strettamente legati alla regolamentazione e
quantificabili Bdir, e
benefici non quantificabili legati indirettamente alla filiera degli
stupefacenti Bind (esternalità
positive).
B = Bdir + Bind
I benefici diretti
sono sostanzialmente tre: 1) la riduzione delle spese statali impiegate per la
proibizione della produzione e della vendita degli stupefacenti (G); 2) un maggiore gettito fiscale
derivante dalla tassazione della produzione e della vendita delle sostanze (T); 3) l'emersione della produzione e delle
transazioni effettuate nel mercato illegale degli stupefacenti, e pertanto la crescita
quantitativa del Pil ufficiale (Y).
Bdir =
G + T + Y
Per quanto riguarda la riduzione delle spese
statali per la proibizione della produzione e della vendita (G), si tratta principalmente dei minori
costi che forze dell'ordine (GP),
magistratura (GM) e
sistema carcerario (GA) dovrebbero
sostenere se venisse cancellato il reato di produzione e vendita di sostanze
stupefacenti.
G = GP + GM
+ GA
Il gettito fiscale (T) deriverebbe dalla tassazione della
produzione e della vendita degli stupefacenti, in maniera analoga a quanto
avviene con l'alcool e col tabacco. Miron and Waldock (2010) hanno indicato una
metodologia per stimare gettito fiscale T
e risparmi di spesa G. Per quanto
riguarda i minori costi per l'amministrazione si utilizza la seguente
procedura: si calcola la percentuale di arresti per le violazioni di droga sul
totale e si moltiplica tale percentuale per la componente del bilancio statale
destinata alle forze dell’ordine (GP);
si stima la percentuale di procedimenti per crimini legati agli stupefacenti e
si moltiplica tale percentuale per la componente del bilancio statale destinata
alla giustizia civile e penale (GM);
si stima la percentuale di carcerati per reati legati al traffico di
stupefacenti e si moltiplica tale percentuale per la componente del bilancio
statale destinata alla gestione delle carceri (GA).
La somma di queste componenti stima
la riduzione statale complessiva di spesa derivante dalla legalizzazione del
mercato delle droghe. A questi benefici si aggiunge in gettito fiscale
derivante dalla tassazione di produzione e vendita degli stupefacenti
applicando le aliquote utilizzate per il tabacco. Lo studio di Miron and
Waldock conclude che la legalizzazione della droga negli USA produrrebbe una
riduzione di spesa pubblica di circa 41,3 miliardi di dollari l'anno e
genererebbe un gettito fiscale di circa 46,7 miliardi di dollari l'anno.
Secondo uno studio dell’Università
“La Sapienza ”
(Rossi, 2009), che utilizza tale metodologia per il caso italiano, si stima un
beneficio fiscale annuale di quasi 10 miliardi euro dalla legalizzazione del
mercato degli stupefacenti: in particolare, l’erario risparmierebbe circa 2
miliardi all’anno di spese per l’applicazione della normativa proibizionista
(polizia, magistratura, carceri), ed incasserebbe circa 8 miliardi all’anno
dalle imposte sulle vendite (5,5 dalla sola cannabis).
Relativamente ai risparmi di spesa
va considerata, comunque, l'osservazione avanzata da Caulkins (2010) e
Kochenderfer et al. (2011) che evidenziano come, almeno nel breve periodo, i
risparmi di spesa G sarebbero minori
di quanto previsto dal modello di Miron and Waldock, poiché i soggetti delle
forze dell'ordine, della magistratura e del sistema carcerario impegnati nella
repressione dei reati legati al mercato degli stupefacenti, anche con meno
arresti, meno processi e meno carcerati rimarrebbero comunque nell'organico
della pubblica amministrazione. Solo nel medio-lungo periodo, aggiungiamo noi,
potrebbero divenire tagli strutturali delle piante organiche e risparmi di
spesa consistenti. Va tuttavia considerato che tali soggetti, non dovendosi
occupare più degli illeciti legati alla droga, potrebbero concentrarsi su altri
reati, rendendo più efficiente il sistema repressivo, giudiziario e carcerario.
L'ultima componente
dei benefici diretti - l'elemento originale di questo paper - è l'emersione di quella componente del Pil che non viene
contabilizzata nelle statistiche ufficiali derivante dalla produzione e dalle
transazioni effettuate nel mercato illegale degli stupefacenti (Y). Infatti, mentre il sommerso
economico (le transazioni legali, ma nascoste al fisco) viene contabilizzato
nel calcolo del Pil nazionale, l'economia illegale, pur rappresentando una
percentuale elevata della produzione complessiva, circa l'11% del Pil in Italia
(Ardizzi et. Al., 2012), non viene inclusa nei conti nazionali. La componente
di economia illegale relativa al traffico di stupefacenti è molto elevata in
Italia. Secondo alcuni studi rappresenta per la criminalità organizzata il
business principale, con un fatturato annuo di circa 60 miliardi di euro (Sos Impresa
2009). Stime più prudenti forniscono un ricavo complessivo nel 2010 pari a
circa 24 miliardi di euro (Fabi et al.,
2011).
La legalizzazione
del mercato degli stupefacenti farebbe crescere il Pil ufficiale di una
quantità equivalente alla produzione finale annua in valore dell'intera filiera
delle droghe con sede nel territorio nazionale. Infatti questa crescita di
valore aggiunto potrebbe essere minore se la produzione avvenisse all'estero e
solo la vendita nel territorio nazionale. Ma considerato il regime
proibizionista, e pertanto più costoso, degli altri paesi, è verosimile
aspettarsi una rapida crescita della produzione interna.
Il contributo di
tale componente al bilancio pubblico è molto consistente, poiché la crescita
del Pil determina la riduzione dei rapporti deficit/pil
e debito/pil che costituiscono gli
indicatori principali per valutare la solidità finanziaria ed economica di uno
Stato, e che condizionano fortemente il costo del servizio del debito pubblico.
Inoltre, considerato che nel caso italiano il rapporto debito/pil dovrà essere necessariamente ridotto di un ventesimo
l'anno, in seguito al Fiscal Compact, applicando nuove tasse o nuovi tagli di
spesa e deprimendo ancora di più l'economia, riuscire a trovare un'altra strada
meno dolorosa, socialmente ed economicamente, rappresenta un ulteriore
beneficio indiretto da aggiungere nel nostro modello.
Considerando che il
ricavato del traffico di stupefacenti è stimato tra 60 miliardi (stima alta Sos
Impresa) e 24 miliardi (Fabi et al. 2011), la sola legalizzazione produrrebbe
un aumento percentuale del Pil annuo italiano tra il 2,15% ed il 4,43%. Inoltre,
ipotizzando che a) lo stock di debito e di Pil si mantengano costanti nel tempo;
b) i ricavi delle transazioni effettuate nel mercato degli stupefacenti vengano
contabilizzati nell'economia legale; c) e stimando in circa 10 miliardi il
gettito fiscale proveniente dalla tassazione di produzione e vendita delle
sostanze; sotto tali ipotesi, nel 2012, il rapporto debito/pil si ridurrebbe di 5,1 punti
(ipotesi alta) o di 2,5 punti (ipotesi bassa). Basterebbe pertanto la sola
legalizzazione del mercato degli stupefacenti per rispettare le previsioni del
Fiscal Compact in Italia.
Infine, per quanto
riguarda i benefici indiretti richiamati nel modello, ne possiamo indicare due
tipologie, quelli derivanti da un utilizzo alternativo delle risorse liberate
dalla legalizzazione e quelli legati all'aumento del benessere complessivo
della collettività.
Tra i primi possiamo
inserire, come accennato in precedenza, sia la liberazione di risorse di forze
dell'ordine, magistratura e addetti al sistema carcerario che possono
concentrarsi su altri reati e migliorare l'efficienza del sistema giudiziario e
carcerario; sia le risorse non più necessarie per raggiungere gli obiettivi
richiesti dal Fiscal compact. Tra i secondi possiamo annoverare la maggiore
informazione sulle sostanze acquistate e i probabili minori costi sanitari, la
riduzione dei reati e della violenza connessa al traffico degli stupefacenti,
minori introiti per le organizzazioni criminali e minori capitali per
distorcere i mercati legali (usura, riciclaggio, concorrenza sleale), aumento
del numero di occupati regolari, miglioramento delle condizioni carcerarie dei
detenuti.
Conclusioni
In conclusione, il
mercato degli stupefacenti rappresenta in questo momento il principale business
per le organizzazioni criminali, nonostante decenni di repressione e sanzioni.
La politica di proibizione non è riuscita a ridurre il consumo delle droghe, ma
ha avuto come principale effetto quello di aumentarne i costi. Un intervento di
regolarizzazione del mercato degli stupefacenti, con modalità simili a quelle
applicate al tabacco, avrebbe elevati benefici economici. La regolamentazione e
la legalizzazione di tale mercato, in termini di costi e benefici per la
collettività, determinerebbe benefici netti consistenti, derivanti soprattutto
dall'emersione di transazioni, in questo momento, illegali. Il modello
presentato in questo lavoro ha cercato di sistematizzare costi e benefici della
regolarizzazione, evidenziandone l’impatto netto per la collettività. Alle
variabili prese in esame dalla letteratura precedente abbiamo aggiunto un
fattore che tenesse conto della contabilizzazione del mercato degli stupefacenti
nel Pil ufficiale. Tale componente ha effetti rilevanti in termini di bilancio
pubblico e di performance degli indicatori di stabilità finanziaria. Tale
approccio potrebbe essere esteso ad altre componenti dell’economia illegale che
presentano caratteristiche simili al mercato degli stupefacenti, come, ad
esempio, il mercato della prostituzione.
L’applicazione del
modello presentato in questo lavoro sugli stupefacenti ad altri mercati
illegali può rappresentare uno spunto di analisi per ulteriori ricerche su
economia illegale e regolamentazione pubblica.
Traduzione dell'articolo
P. David, F. Ofria, Non-observed economy and public finance: the impact of legal drug market, Quality - Access to Success, Vol. 14 - no. 134 Supplement June 2013 (ISSN 1582-2559);
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[4]http://www.eurispes.it/index.php?option=com_content&view=article&id=197:rapporto-italia-2008&catid=40:comunicati-stampa&Itemid=135