Politica in Movimento
Partiti e movimenti nella crisi della politica
La crisi della politica, la trasformazione
del mercato del lavoro, l’innovazione delle forme di comunicazione ha prodotto
nei territori la liquefazione delle forme politiche. I nuovi soggetti sociali
(precari, disoccupati qualificati, esodati) non si riconoscono più nelle
strutture rappresentative tradizionali (sindacati e partiti), ma percepiscono
come soggetti politici di cambiamento i movimenti e le associazioni, agenti
meno burocratici e più efficaci mediaticamente, che negli ultimi anni hanno
occupato di fatto spazi politici fino a qualche tempo fa riservati solo ai
partiti. Il PD non deve considerare tali espressioni della società come partiti
politici ai quali contrapporsi. Deve, invece, costruire luoghi di dialogo
permanente con i movimenti con i quali si condividono valori di base e
finalità, per cercare di coglierne gli aspetti più innovativi e limitarne le
forme più estreme, cercando di affermarsi con autorevolezza come riferimento
politico ed istituzionale.
E' importante,
soprattutto nella fase congressuale del Partito Democratico, approfondire le
ragioni che hanno portato, soprattutto nell'ultimo anno, i movimenti politici a
risultati elettorali molto importanti.
A Messina, un
candidato pacifista e movimentista come Renato Accorinti, è riuscito in pochi
mesi a condurre alla vittoria un movimento che, senza strutture partitiche di
rilievo, deputati e finanziatori, è riuscito a battere un candidato di una coalizione
sulla carta decisamente più forte. Alle ultime regionali, un candidato di sinistra
indipendente, Rosario Crocetta, insieme al suo movimento (il Megafono) e con
l'appoggio di PD ed UDC, per la prima volta nella storia repubblicana
dell'isola, è riuscito a vincere le elezioni regionali. Ed, a livello
nazionale, alle politiche di febbraio il M5S di Grillo è diventato alla Camera
il primo partito d'Italia con 8 milioni e 700 mila voti.
E' utile
cercare di capire perché sempre più negli ultimi anni gli elettori, alle
strutture rappresentative tradizionali (partiti e sindacati), preferiscono
forme politiche più "liquide", come associazioni o movimenti.
Senza dubbio
le inchieste che negli ultimi anni hanno coinvolto deputati, senatori e
consiglieri regionali hanno fatto perdere reputazione ai partiti ed hanno
contribuito a spostare la domanda di politica che c'è sul territorio da
organizzazioni poco credibili come le formazioni partitiche - dove nel tempo si
è ridotta la qualità della classe dirigente, grazie anche a meccanismi di
selezione basati sui più fedeli e non sui più capaci - a soggetti più dinamici
come associazioni e movimenti. I quali stanno sui territori e si confrontano quotidianamente
con le persone; non avendo strutture gerarchiche, valorizzano i più capaci ed i
più carismatici; utilizzano meglio dei partiti i nuovi strumenti di
comunicazione (blog, social network, sondaggi on line, feed back col popolo del
web).
Già questo
aspetto configura il consenso elettorale dei movimenti, non più solo come voto
di protesta - come avveniva in passato ,
ma come espressione di un'esigenza di cambiamento, e quindi come voto per
proporre qualcosa di nuovo.
Ma c'è un
secondo aspetto che va evidenziato. La poca credibilità dei partiti non basta a
spiegare il successo dei movimenti e soprattutto la continuità del consenso.
Generalmente - è stato così in passato - il consenso elettorale dei movimenti
ha vita breve, qualche stagione o al massimo un anno. Se la popolarità dei
movimenti politici recenti, come il M5S, si mantiene costante, allora ci sono
ragioni "strutturali" che lo alimentano. E forse la più importante di
tali ragioni sta nella trasformazione avvenuta nel mercato del lavoro.
Attualmente, tra i nuovi assunti 8 su 10 sono precari; il posto a tempo
indeterminato sembra una condizione sempre più rara, soprattutto al Sud. E se
la flessibilità negli altri paesi europei è stata affiancata da strumenti di
sostegno al reddito universali, nel nostro paese i lavoratori precari si
trovano senza alcuna tutela nei periodi di non lavoro. E sono questi i soggetti
che da tempo hanno trovato in Grillo un riferimento politico. E' il mondo dei
precari una delle componenti più importanti del blocco sociale del M5S.
Tale
trasformazione della struttura produttiva e del mercato del lavoro è ancora più
evidente al Sud. Il modello ad economia assistita che ha caratterizzato il
Mezzogiorno dagli '60 agli anni '90 del secolo scorso, attraverso i
finanziamenti pubblici assicurava lavoro e voti. I grandi partiti di massa, infatti,
sfruttavano queste risorse in maniera clientelare, assicurandosi un consenso
strutturale di milioni di elettori.
La fine di
questo modello, definitivamente tramontato a causa della competizione globale e
della crisi fiscale dello Stato, ha condizionato il modello politico
clientelare. La classe politica meridionale, con le poche risorse pubbliche
trasferite ogni anno alle regioni del Sud dallo Stato centrale, non è stata più
nella condizione di dare risposte e garantire lavoro. E quindi non riesce più a
gestire il consenso elettorale, che adesso, divenuto più libero, si rivolge ai
movimenti. Negli anni '70, i movimenti politici erano molto forti nel
centro-nord del paese, mentre nel Sud non riuscivano ad incidere sul voto. La
fine del modello ad economia assistita nel Mezzogiorno ha uniformato le
dinamiche elettorali.
Concludendo,
quale deve essere il ruolo di un grande partito di massa come il PD nel
rapporto con i nuovi movimenti? Innanzitutto, per avere un ruolo, il Partito
Democratico deve ridefinire il proprio profilo identitario, sia culturalmente
(chiarendo quale linea tenere sui temi dei diritti civili) che politicamente
(specificando la propria collocazione internazionale tra le forze progressiste).
Non si capisce perché ancora non riusciamo a definirci un partito di sinistra
(visto che ce n'è uno forte di destra) ancorato alla storia del socialismo
europeo.
Sempre per
rendere chiaro a noi ed ai nostri elettori chi siamo e dove vogliamo andare, il
PD, dopo una attenta analisi della trasformazione della società, deve indicare espressamente
i soggetti deboli che vuole difendere: precari, nuovi poveri, classe medie,
pensionati. Ed adeguare il proprio programma ai soggetti sociali di
riferimento. Per essere più chiari: se una categoria che vogliamo difendere
sono i precari, allora una battaglia esplicita del PD deve essere fatta sul
reddito minimo garantito. Se vogliamo tutelare la classe media, allora dobbiamo
ridurre le aliquote fiscali per queste fasce di reddito ed introdurre una
patrimoniale per le grandi ricchezze.
Definito il
proprio profilo identitario, va necessariamente aperto una canale di dialogo
con quei movimenti con una matrice culturale comune a quella del PD. Cercando
di coglierne gli aspetti innovativi, costruendo un luogo permanente di dialogo,
sforzandosi di comprendere e rappresentare le istanze di cambiamento che, fino
ad ora, si sono rivolte a questi movimenti.
Con
l'obiettivo di divenire il Partito Democratico il soggetto politico di
cambiamento che la società italiana ormai da anni richiede e che, almeno fino
ad ora, i suoi dirigenti non sono riusciti ad offrire.
Piero
David
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