Rifare il PD in Sicilia
di Piero David
Dopo una lunga
stagione elettorale e con la nascita del governo Letta, si apre una nuova e
difficile fase per il Partito Democratico.
L'elezione del
Presidente della Repubblica ha evidenziato le contraddizioni di origine del PD,
la mancanza di un profilo identitario, la balcanizzazione dei gruppi dirigenti.
Ma proprio le tensioni alle quali è stata sottoposta la struttura del partito a
tutti i livelli, e la sua sostanziale tenuta, ha mostrato chiaramente come il
punto di arrivo e di ripartenza della sinistra in Italia resti comunque il PD.
Non ci sono gli spazi per scorciatoie politiche o partitini. La strada,
impervia ma necessaria, è quella di cambiare questo partito, trasformandolo da
un amalgama mal riuscito in una comunità con un'identità precisa, con una struttura
presente nel territorio, aperta e contendibile.
Questo
obiettivo è ancora più importante in Sicilia, anche e soprattutto per le sfide
che il Partito Democratico deve affrontare in questa regione. La crisi
economica, sociale e politica che vive la Sicilia, va oltre le difficoltà
economiche che stanno attraversando l'Italia e gli altri paesi europei stremati
dall'austerity comunitaria. Nell'isola, come nelle altre regioni meridionali,
la crisi è strutturale. Nasce prima della recessione nazionale e continuerà
anche dopo la ripresa. Questa volta non basterà la ripresa dalla domanda
nazionale o internazionale per rimettere in piedi una struttura economica
regionale che di fatto è scomparsa. L'allarme della Svimez di un rischio
deindustrializzazione per le regioni meridionali è l'ultimo dei segnali della
fine di un modello per il Sud, quello dell'economia assistita, che ormai da
anni stava rapidamente declinando e che con l'ultima crisi finanziaria è
sostanzialmente arrivato al capolinea. Il modello basato su massicci
trasferimenti di risorse pubbliche, che vedeva circa il 70% dei suoi occupati
nelle amministrazioni pubbliche, ed il resto impiegato nei settori trainati
dalle spese di questi occupati, edilizia e commercio, non è più compatibile con
le regole delle istituzioni comunitarie e la crisi fiscale degli stati
nazionali.
Va pensato e
costruito un nuovo modello di sviluppo per le regioni meridionali basato su un
economia competitiva che valorizzi le risorse che i territori del sud naturalmente
possiedono. Nella competizione internazionale, se i territori dei paesi
sviluppati vogliono concorrere tra loro mantenendo o migliorando i loro livelli
di reddito pro-capite, non possono farlo cercando di produrre quello che altri
paesi in via di sviluppo realizzano con un costo del lavoro molto più ridotto. La
strada da seguire è quella di sfruttare le risorse proprie non riproducibili in
altri contesti, quelle naturali ed identitarie, che rappresentano l'unica materia
prima in regime di monopolio per i territori meridionali. E di conseguenza
pensare una struttura economica basata su nuovi settori produttivi a valore
aggiunto elevato come quelli energetico, culturale e turistico di qualità.
Pertanto per
chi fa politica al Sud la sfida è individuare un nuovo modello di sviluppo per
il proprio territorio. Una sfida molto complessa che ha bisogno di un partito
ed una classe dirigente all'altezza. Un partito con una robusta elaborazione
politica in grado di dettare l'agenda politica con un ruolo attivo nei
confronti del governo Crocetta. E soprattutto un partito che riprenda la buona
abitudine della discussione interna e si presenti davanti l'esecutivo regionale
unito ed autorevole. Se un Presidente della Regione decide da solo è perché la
maggioranza che lo sostiene, e nel caso siciliano il Partito Democratico, si presenta
spaccata e senza una chiara proposta politica.
Ma per avere un
partito forte, autorevole e con una classe dirigente competente bisogna
ricostruire il PD siciliano, modificando radicalmente la pratica politica che
lo ha caratterizzato da quando è nato. Innanzitutto va strutturato nel
territorio rafforzando la propria presenza politica e cercando di ricostruire
con gli elettori un rapporto che permetta di coglierne le istanze politiche.
Poi va ripristinata effettivamente la democrazia interna: non è accettabile
nella nostra cultura politica il partito del capo, o dei capi. Purtroppo nella
nostra regione è prevalso tale modello, quello del partito istituzionale, dove
a decidere sono esclusivamente i deputati, con la ratifica successiva degli
organismi dirigenti. Va separata la rappresentanza istituzionale dalla segreteria
di partito, ripristinando una dialettica tra i due livelli che consenta una più
efficace democrazia interna.
Infine è
importante un ultimo passaggio. Va siglato da tutte le componenti politiche un
patto generazionale che dia spazio finalmente ad una generazione di giovani
dirigenti competenti e maturi per prendersi la responsabilità di guidare il
Partito Democratico in questo processo di ricostruzione. Non si tratta solo di
"rottamare" qualche anziano dirigente per sostituirlo con un suo
giovane fedelissimo. Va promossa una nuova leva di dirigenti, fuori dalla
gestione politica degli ultimi anni, che sia in grado di ricomporre le antiche
fratture del nostro partito in una sintesi unitaria e che riesca ad
intercettare meglio l'esigenza di cambiamento che l'elettorato di centro
sinistra, e la società siciliana complessivamente, ci chiede.
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